Medicina Generale


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Incipit

XXXXXX

I
Istituto di Medicina Legale
(lunedì 24 settembre, ore 8,00)




-Si nasce per amore e si muore per forza...-
L'anziano patologo si aggiustò la pipa fra i denti e l'accese. Spirali di fumo vorticarono in aria e presero a salire verso il soffitto ma, prima che lo raggiungessero, tornò a farsi sentire la sua voce rauca e tormentata.
-...Naturalmente si dovrebbe vivere per diletto-
Il dottor Milani lo guardò. Dal suo sguardo trapelava riverenza e ammirazione, ma anche disagio e, trovandosi privo di argomenti, tacque.
-Naturalmente- riprese allora il docente sollevando un indice e agitandolo in aria -ma ci riescono in pochi. C'è chi vive per pigrizia o per dovere o, peggio ancora, chi lo fa per dispetto. E c'è pure chi sbaglia tutto, come questo disgraziato- ritirò il dito e lo puntò contro il cadavere riverso sul tavolaccio di marmo -Questo povero diavolo ha fatto tutto a rovescio: è nato per forza ed è morto per amore-
Il professore ammutolì. Raggiunse la scrivania, afferrò il registro delle autopsie e lo sollevò, lo mostrò all'assistente.
-Legga, Milani, legga-
Il giovane medico si avvicinò, fece scorrere lo sguardo sulle poche parole scritte in fretta dall'infermiera di turno e lesse mentalmente:
"O.B. Figlio di N.N. Psicolabile. Presunto suicidio per verosimile delusione amorosa".
-Già!- commentò poi a mezza voce -Ha sbagliato a nascere e a morire...-
-E di sicuro anche a vivere- arguì il professore -Quando si parte col piede sbagliato è arduo riprendere il passo-
Entrambi tacquero. Più netto e vigoroso si udì il rumore della pioggia che dalla sera prima, ininterrottamente, si riversava sulla città. Folate di vento, a tratti, scaricavano acqua contro le finestre dell'Istituto, foggiando macchie distratte sui vetri smerigliati, ombre stravaganti che si modellavano in un susseguirsi rapido di forme contorte e bizzarre, mai uguali.
Fissa, marmorea, immutabile, appariva invece l'espressione del cadavere disteso sul tavolo anatomico. Era nudo, rovesciato sulla schiena, le gambe un po' piegate e aperte, un braccio che penzolava nel vuoto. Aveva gli occhi spalancati, ma opachi, privi di vita e di luce. Erano privi anche di colore; restava solo una torbida mescolanza di tinte fosche, confuse, come se vi si stesse specchiando quel giorno, malinconico e scialbo. E dalla sua bocca, rigida, allargata da muscoli contratti, pareva dovesse ancora uscire un grido, l'ultimo, quello rimastogli in gola quando il cappio si strinse. Quel viso largo e giovane aveva nell'insieme un'aria di sgomento, forse di paura. Pallido, alabastrino, era reso quasi diafano dalla luce di una lampada scialitica che calava dal soffitto e gli pendeva sopra.....


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